lunedì 4 dicembre 2006

É lecito porre fine alla propria vita?

Stasera mentre navigavo in rete alla ricerca di notizie dall’Italia, ho letto che il Ministro della Salute Livia Turco ha insediato la “Commissione sulla terapia del dolore, le cure palliative e la dignità del fine vita”. Questa commissione, coordinata dalla stessa Livia Turco, secondo quanto si legge nell’articolo, ha come finalità quella di elaborare un documento di riferimento generale sullo stato dei servizi e delle procedure inerenti la terapia del dolore, le cure palliative e le cure di fine vita. Questo articolo ha catturato la mia attenzione non solo perché in questi giorni si sta di nuovo parlando moltissimo del problema eutanasia, riportato alla ribalta dal triste caso di Piergiorgio Welby, ma perchè il destino vuole che proprio stamattina abbia discusso di questo delicato argomento con una persona di mia conoscenza.
Questo signore mi ha raccontato la vicenda di un suo caro amico d’infanzia che 5 anni fa ha scoperto di avere una malattia incurabile che lentamente ha immobilizzato tutti gli arti, fino alla completa paralisi. Se n’è accorto un giorno quando, mentre stava facendo un giro con la sua bicicletta, è caduto 3 volte nel giro di un’ora. Quindi ha deciso di fare una visita di controllo e da lí la triste notizia. Massimo 9 anni di vita. La malattia peró è avanzata piú velocemente del previsto e giá dopo pochi mesi si è ritrovato nel letto senza poter piú muovere le gambe. Lui che era un tipo attivissimo, proprio non ci stava a dover passare gli ultimi anni della sua vita paralizzato. Ha provato piú volte ad alzarsi da solo dal letto quando la moglie non c’era per trascinarsi fino al balcone e buttarsi giú, ma ormai aveva perso del tutto il controllo dei suoi arti per cui non riuscí mai nel suo intento. Ultimamente non poteva piú parlare né tenere su il busto e respirava grazie ad un respiratore artificiale. Qui in Svizzera peró le cose sono diverse rispetto all’Italia… Il suo unico desiderio era morire e la moglie ha deciso di rispettare la sua volontá. Cosí un giorno ha deciso di telefonare ad un’associazione per commissionare il suicidio di suo marito. I tempi di attesa sono lunghi soprattutto perchè si vuole essere sicuri fino all’ultimo che il malato non cambi idea : questo è capitato quattro anni fa. La scorsa settimana Antoine è morto, ha dovuto semplicemte fare una X su un foglio (non riusciva piú a firmare) e bere con le sue stesse mani, in presenza di tre testimoni, un miscuglio di barbiturici appositamente preparato, dopodichè si è lentamente addormentato. Ora bisognerá attendere che il suo corpo venga sottoposto ad autopsia per verificare che la sostanza che lui ha ingerito sia effettivamente nel suo stomaco, questa è una prassi obbligatoria per legge.
Antoine ha voluto farla finita perché non ce la faceva piú a vivere in quelle condizioni, la sua vita era diventata un inferno. E se fosse vissuto in Italia ? Adesso sarebbe ancora nel suo letto a soffrire. Non aggiungo altro.

3 commenti:

  1. Non so, io saro' fatta male, ma a sentir storie come quella che hai raccontato qui io sono contenta di vivere in un Paese dove la vita e' ancora un valore importante e che va difeso.
    Dal pretendere di poter disporre di un interruttore sulla nostra vita allo stabilire quali e quante siano le forme di vita degne di essere vissute per magari cancellare le più scomode il passo e' terribilmente breve. Dire che la sofferenza non merita di essere vissuta equivale a dire che è 'logico' far bere quel mix di barbiturici ad ogni bambino che nasce con malformazioni tali da impedirgli di vivere senza soffrire...Conosco una bambina malata grave di mente, che da qualche anno con il computer riesce a mettere insieme poesie che impressionano; conosco la storia di una ragazza che per una malattia genetica progressiva si e' ritrovata cieca, sorda, completamente paralizzata tranne la mano destra, che con quella mano ha fatto cose meravigliose, molto più meravigliose di quelle che sono in grado di fare io che ho ben più di una mano. Che senso hanno vite di questo tipo?
    C'e' una dignità, un senso anche nella sofferenza, così come nell'accettare che la vita non sia esattamente quella che ci aspettiamo o fatta a nostro uso e consumo. A prescindere dai casi-limite, l'eutanasia per me e' parte di quella presunzione dell'uomo, che vorrebbe avere il controllo assoluto della sua vita. Puoi decidere il tuo sesso, che forma ha il tuo naso, la tua taglia di reggiseno, anche se e quando morire. Il supermarket della vita del terzo millennio...passa alla cassa e ritira il tuo modello di vita preferito, arrivederci e grazie, avanti il prossimo. E invece la vita ci stupisce e mi permetto di dire che forse c'e' un senso più grande, a volerlo vedere.
    Anche a me fa tristezza il consumismo insensato del natale, ma ancor più mi fa tristezza questo consumismo della vita, che e' solo un'altra forma della stessa cecità. Non mi stupisce x niente che chi non sa cos'e' il presepe trovi normale l'eutanasia. Viva la coerenza. Ma quell'amore che festeggiamo a Natale e proviamo anche (forse discutibilmente) a impacchettare per scambiarcelo con regali costosi o meno, ha forse poco senso se prima non amiamo la vita davvero, per quella cosa meravigliosa che e'. Il senso che diamo al presepe alla fine e' ammettere che e' nel presepe che troviamo un po' di senso anche per la nostra vita...o no?
    (scusa il post lunghissimo, è risaputo che la sintesi non e' la mia principale dote...)Ciao!

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  2. Si certo, la vita a tutti i costi, anche quella che afferriamo tenacemente quando siamo infelici.
    Ma il dolore fisico no, non è ammissibile. Quando non c'è speranza, alcuna, e aspetti solo di morire, mi piacerebbe poter decidere da sola se accellerare o meno la cosa ...Almeno nella morte, vorrei pensare prima a me stessa....
    Ieri volevo chiudere il mio blog, non è un buon momento, ho desistito grazie al tuo commento ... Grazie !

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  3. Non abbiamo deciso noi di nascere e altrettanto non possiam decidere noi di morire, quando morire. Ho sempre aborrito il suicidio, figuriamoci l'omicidio. Seppur in forma particolare, con tutte le cause di giusificazione che ci possono essere, di questo trattasi. Sono per il corso naturale delle cose.
    Può definirsi vita quella condotta da "vegetale" in un letto? Sì, anche.
    Morire potrebbe essere interpretato come un diritto di libertà, ma si è veramente liberi quando si sceglie di morire?O si è costretti da qualcos altro?
    Non lo so ma all'occorrenza mi viene in mente una favoletta che avevo letto da bambina (di Edipo o di Esopo, uno dei due, se qualcuno la conosce lo dica!): Un vecchio percorreva un giorno una lunghissima strada, portando un fascio di legna. Stanco del cammino, depose il fardello ed invocava la Morte. La Morte gli apparve e gli domandò perché l'avesse chiamata. E il vecchio: - Niente, niente: vorrei soltanto che tu mi aiutassi a sollevare questo fascio di legna.
    E allora, quanto si è veramente attacati alla vita?
    Sono domande alla quale, non trovandomi io in situazioni drammatiche, so rispondere con lucidità.
    Dovesse capitarmi?Preferirei continuare a vivere seppur da vegetale, chissà un giorno non venga scoperta la cura che mi serve. Ironia? Forse. Ottimismo direi!

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